Le Isole di rifiuti
- Admin
- 3 dic 2017
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 4 dic 2017
Pochi sapranno che all’interno dei nostri Oceani dal 1997 ad oggi sono state scoperte nuove isole, non atolli di lusso, bensì ammassi di spazzatura di ogni genere, che continuano a crescere a causa dei rifiuti abbandonati sulle coste e/o gettati in mare volontariamente o accidentalmente a seguito di incidenti marini

Come già ampiamente descritto, il problema dei rifiuti che oggi ci si trova ad affrontare ha assunto delle dimensioni mai viste prima, sia per quanto riguarda la quantità del rifiuto prodotto sia per la sua qualità, in quanto negli ultimi anni è cambiata la composizione chimica degli scarti prodotti; se un tempo prevaleva la frazione organica, oggi buttiamo prevalentemente sostanze chimiche, tra le quali vi è anche la plastica.
Ed è proprio la plastica la componente principale delle nuove isole che si stanno formando all’interno degli Oceani, Pacifico e Atlantico in primis.
La prima scoperta di isole di rifiuti nell’Oceano risale alla fine degli anni ’90, quando l’oceanografo americano Charles Moore si trovò davanti al Great Pacific Garbage Patch, meglio conosciuta come l’Isola dei Rifiuti del Pacifico (o Isola di Plastica).
Attualmente sono tre le isole di plastica conosciute: 2 si trovano nell’Oceano Pacifico, mentre la terza si trova nell’Oceano Atlantico. Gli scienziati ipotizzano la presenza di altre isole di rifiuti in altre parti del
globo, ma a tutt’ora nulla di nuovo è stato scoperto, anche perché i satelliti non sono in grado di rilevarne la presenza a causa della loro composizione.
Nell’Oceano Pacifico tra le coste giapponesi e statunitensi si trovano due nuove isole composte principalmente di plastica, esse si sono formate a partire dagli anni ‘50 a causa del North Pacific Subtropical Gyre (Vortice Subtropicale del Nord Pacifico), un moto circolare che viene generato dalle correnti oceaniche, le quali scontrandosi portano il rifiuto raccolto a radunarsi al proprio interno.
Queste di discariche galleggianti hanno assunto negli anni dimensioni enormi, tanto da essere considerate le più grandi discariche del Pianeta: ognuna delle quali è costituita all’incirca da 100 milioni di tonnellate di rifiuti distribuiti in un diametro di 2500 chilometri e una profondità di 30 metri.
Le macchie di rifiuti che si son venute a formare tra le coste del Giappone e delle Isole Hawaai vengono continuamente alimentate da Giappone, Cina, Messico, Stati Uniti.
Per quanto riguarda invece l’isola di spazzatura rinvenuta all’interno dell’Oceano Atlantico le dimensioni sono circa le medesime delle due isole viste in precedenza, mentre la sua produzione è da attribuire principalmente agli scarti provenienti da Europa e Paesi Occidentali.
Si stima infatti che gran parte di questi residui di plastica, circa l’80%, provengano dalla terraferma trasportati dai venti e dalle piogge, mentre solo il 20% di essi è da attribuire alle navi, alle piattaforme petrolifere e alle imbarcazioni da diporto e da pesca di passaggio nelle acque oceaniche.
All’interno di questo agglomerato di spazzatura si trovano principalmente derivati della plastica, e in particolare: palloni da calcio o da football, mattoncini Lego, scarpe, borse, kayak, bottiglie, bicchieri, e sacchetti usa e getta.
Il danno ambientale provocato dalla presenza di questo tipo di rifiuti in mare è ingentissimo, tanto da essere considerato come una delle più grandi minacce all’ecosistema oceanico, nonché all’umanità. La plastica, infatti, non biodegrada, bensì fotodegrada: l’azione dei raggi ultravioletti e delle onde favoriscono il suo sminuzzamento in frammenti molto piccoli, a volte più piccoli dei polimeri stessi che la compongono, che vengono rimescolati continuamente per effetto delle correnti. Così facendo questi piccolissimi detriti di plastica entrano in simbiosi con la flora e con la fauna marina. In questo ammasso di rifiuti la concentrazione di plastica è dieci volte superiore rispetto a quella del plancton, cibo del quale si nutrono diverse specie di animali: dalle balene ai pesci, sino agli uccelli come gli albatros, che sorvolando queste distese di pattume alla ricerca di cibo vengono attratti particolarmente dai tappi colorati di flaconi e bottigliette.
Parti di plastica sono stati ritrovati all’interno dello stomaco di pesci ed uccelli che dopo essersene cibati muoiono intossicati, soffocati o disidratati.
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